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Dalla sezione Dicerie dell'insonnia
Jean Santeuil a Marcel Proust
Finché vissi l’esistenza narrativa sono rimasto ai margini del lapsus in deriva inerziale del tuo cuore vagando nella foresta delle parole;
poi nell’indifferenza degli aneddoti tra il dire eterno e l’invisibile tempo, il volto del mio presente divenne l’occhio vitreo dell’iguana - che dicono si nutra di pietre.
Presenza immaginata
Si va lungo la pagina verso il colore d’erba che abbiamo cercato, l’ora in cui svaniscono i riflessi e le voci del borgo marino (potrebbero sembrare di fanciulle in fiore) per una strada di sabbia dorata così assente dalle nostre vite e così desiderata dalle ombre.
Nello specchio dei mandorli dove matura il sole di Balbec il corpo cerca il mondo, riluce sulla spiaggia: sentieri lo percorrono accelerando i sensi.
Con un bagliore d’estate i capitelli della cattedrale distendono una parte di ciò che siamo stati, in mezzo ad essi si vede qua e là un melo che basta a incantarci: così l’incontro nel suo mutato lampo previene il sogno e pare che qualcuno tremi di quel sangue che rinasce dove un verso poetico si lacera.
Dicerie dell’insonnia
La vecchia casa grigia sulla strada la camera lontana dal sole lontana dalla vita, cavalli divorati i sogni sulla vetrata delle apparizioni e tutte le ninfee dietro la porta oltre la Vivonne e i fiori di Swann col tempo rimasto senza usura.
Da una tazzina di thè ride l’estate in larghe ondate normanne le sole tracce che ubbidiscono al vento. Fuori di questo mondo l’interno nella rada del sonno dove le fronde inseguono quello che il corpo non potrà mai dare.
Nella stanza deserta l’eco distinta d’una madeleine sfiora l’assenza.
Destino di un’orchidea
a Odette De Crecy
Tutto il mondo di parole che scrivo per te da un giardino a un orto nel buio intrecciano mani al tuo collo, l’aroma di cattleya insinua il baciarti le labbra l’uno nell’altro per sillabe di steli, dopo aver sognato in due un libro dalle pagine stanche.
Quel fiore muove l’ipotesi del tempo, consegna la sua forma in un abbraccio al richiamo delle notti insonni.
Dalla sezione Sbarcare da se stessi
Mutamento di confine
I nostri occhi sul filo delle stagioni, le tegole ordinate dalla memoria, le finestre a specchio per il pioppo nell’evidenza dei richiami, pensarla immagine già in odore di interni la sufficienza d’essere al mondo fin quanto acconsente il mattino; ma ieri fu pure un giorno e ora non è più che un’ansa del torrente dove con rami a vela è passata la vita, senza altro scorrere che il fondo dei ciottoli, la trama del nostro corpo galleggiante per averci lasciato l’ombra intera.
Dicevano di toccare il vecchio orizzonte forando con lo sguardo l’abete sotto la neve, limitari e steccati per immergere le mani nell’acqua viva e non in questa pozza dove si aggirano idrometre fiottanti di verde, se almeno una voce potesse somigliare a quella che divise le acque del mar Rosso troveremmo volti, porte affrancate, musici in veste di profeti e Maddalene che ci precedono al mutamento di confine.
Dalla sezione L'altare di Isenheim
Isola mancata
La catena del Pollino divide la Calabria dal resto dell’Italia sentenziava il manuale nella scuola d’infanzia e noi a segnare frattali di spiagge nel perimetro di un’isola mancata.
Questa terra è fatta d’anni e certo stiva le tinte di un affresco sulla tela, lo spazio di preghiere nei santuari dove fiorisce speranza prima delle fiumare.
Magari solo storie in equilibrio, cieli profondi, fiato di campagna in vicinanza del mare ombre inesistenti senza nuovo giorno.
Di azzurro e verde il ritorno ai paesi agli stazzi prima delle foreste agli abissi dentro ai monti ai piccoli laghi sereni, un viaggio tutto terrestre, isola mancata, per non dimenticare.
[da Sbarcare da se stessi, Eugenio Nastasi, LietoColle]
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